L’esperienza internazionale dell’architetto Giovanni Antico si traduce in un design che unisce estetica, funzionalità e sostenibilità.
Creatività, esperienza internazionale e attenzione al quotidiano: questi sono alcuni dei tratti distintivi dell’approccio progettuale dell’architetto torinese Giovanni Antico. Dopo una formazione che lo ha portato a studiare e lavorare in diverse parti del mondo, l’architetto ha fondato il suo studio a Torino, dove oggi si dedica soprattutto alla ristrutturazione e al design d’interni. Lo abbiamo intervistato per approfondire la sua visione del ruolo dell’architetto, le sfide della sostenibilità e il rapporto tra estetica e funzionalità.
Perché ha deciso di diventare architetto?
Le motivazioni iniziali sono state indotte da fattori esterni: ho sempre avuto una predilezione per ciò che era creativo e artistico. Durante la formazione mi ero avvicinato al Politecnico pensando a Ingegneria, ma la trovavo troppo rigida per i miei interessi. L’architettura è stata il giusto connubio tra creatività e tecnica.
Un momento fondamentale è stato vincere una borsa di studio per Barcellona: lì ho imparato che anche in un ambito tecnico come l’architettura si può “giocare” e creare, dando più spazio all’aspetto estetico e al piacere della composizione, senza limitarsi solo alla funzionalità dell’edificio. Dal 2016 ho aperto il mio studio a Torino, “Giovanni Antico Architect”.
Lei ha lavorato anche all’estero. A cosa si è dedicato e cosa ha caratterizzato quelle esperienze?
Ogni Paese ha offerto esperienze diverse. In Sud America e Stati Uniti mi sono occupato di residenziale di alto livello, con grandi budget e possibilità di sperimentazione. A Tokyo ho lavorato su grattacieli, uffici e spazi di coworking; in Egitto, soprattutto su hotel e resort, estesi poi anche a Zanzibar e Sharm El Sheikh. È stata una formazione itinerante e a 360 gradi. In Italia invece il mercato porta più verso ristrutturazioni che nuove costruzioni.
Qual è secondo lei il ruolo dell’architetto oggi nel coniugare design ed esigenze del vivere quotidiano?
È un dilemma complesso: il design è cambiato molto, ma viviamo ancora delle icone nate decenni fa. Oggi è più difficile reinventarsi: il vero compito è far sì che design e quotidiano si incontrino, aggiungendo comfort, innovazione ed emozioni. Personalmente, vedo il mio lavoro come una sfida quotidiana: interpretare i gusti del cliente e i suoi riferimenti estetici, trovando soluzioni compatibili con i budget reali, senza scadere in imitazioni scadenti. È un equilibrio tra desideri e realtà, sempre cercando autenticità nei materiali e nelle scelte progettuali.
Master Bedroom a Buenos Aires (Collab. Remy Arq.) – Photo: Gustavo Sosa Pinilla
Che importanza riveste la scelta degli infissi nell’ambito di una riqualificazione di un interno?
Gli infissi sono molto importanti, sia dal punto di vista tecnico (trasmittanza, isolamento, permeabilità) sia da quello estetico. Spesso ci si deve confrontare con vincoli storici e comunali, ma a mio avviso la finestra deve essere trattata come un vero materiale d’interni: conta la texture, la robustezza, l’esperienza tattile, il colore e l’armonia con gli altri materiali. Non si tratta solo di efficienza, ma anche di coerenza estetica e funzionale.
Quali caratteristiche rendono un edificio sostenibile ed efficiente dal punto di vista energetico?
Oggi vedo enormi progressi nelle tecniche di risparmio energetico e isolamento. Personalmente, resto legato anche a soluzioni tradizionali, pur apprezzando le innovazioni. Trovo invece rischioso affidarsi solo alla domotica e al digitale: rendere la casa interamente dipendente da applicazioni può essere vincolante. Credo che la tecnologia debba essere un supporto, non l’unica soluzione. Fondamentali restano gli aspetti costruttivi: riscaldamento, isolamento, materiali efficienti.
Collab. Q&a – Photo: Beppe Giardino
Esiste un luogo che lei considera la sua “Icona urbana”?
Sì, la Kaufmann Desert House di Richard Neutra a Palm Springs, in California: una villa iconica, che unisce rispetto dei materiali locali e innovazione tecnologica, con un forte gioco tra spazi pubblici e privati. In Italia cito il Bosco Verticale di Stefano Boeri a Milano. Mi colpì perché, già durante l’università, avevamo proposto un progetto simile a Torino ma ci fu bocciato come insostenibile. Vederlo poi realizzato con successo mi ha fatto riflettere. Per me rimane un’opera significativa, anche perché dimostra quanto il verde sia fondamentale nell’estetica e nella vivibilità urbana.
Photo cover: Giorgio Rinaldi / “Roar Hair Stylist” a Pinerolo (Torino)