Architetto e docente del Politecnico di Torino, Multari racconta come l’esperienza diretta sui cantieri abbia acceso in lui la vocazione per l’architettura. E spiega perché oggi progettare spazi significa interpretare l’anima delle comunità, con un occhio attento a sostenibilità e innovazione.
«Il lavoro dell’architetto è quello di trasformare l’anima di una comunità in spazi urbani che rafforzino il senso d’identità collettiva e di appartenenza ad un territorio». Per Claudio Multari, ogni componente di un edificio ha un valore narrativo. In questa intervista ci accompagna in un viaggio tra i molteplici livelli del progettare contemporaneo, dove materiali, tecnologia e cultura si fondono. E ci svela come anche una semplice sedia o una finestra possano diventare metafore potenti del nostro modo di abitare il mondo.
Partiamo dall’inizio: cosa l’ha portata a scegliere la professione di architetto?
Da adolescente, ogni estate mio padre, che aveva un’impresa di decorazioni, mi portava con sé sul cantiere. Ricordo ancora le giornate calde, il rumore degli attrezzi e il profumo di cemento e legno. Era un mondo che mi affascinava, pieno di vita e di possibilità. Un giorno, mentre passeggiavamo tra le strutture ancora in costruzione, abbiamo incontrato l’architetto che stava supervisionando i lavori. Mi ricordo il suo sguardo attento, il modo in cui spiegava le cose con passione e sicurezza.
Photo: Fabio Pitzalis / Corso Fiume, Torino
Quel momento mi ha colpito profondamente. In quel preciso istante, ho sentito crescere dentro di me una forte aspirazione: anche io volevo fare l’architetto. Volevo creare, progettare, dare forma ai sogni e alle idee. Quel giorno sul cantiere è stato il punto di svolta, il momento in cui ho capito quale strada avrei voluto seguire, alimentando il mio desiderio di costruire e immaginare il mondo che ci circonda.
In che modo il suo ruolo di docente influenza la visione dell’architettura contemporanea?
Il mio ruolo di docente mi permette di plasmare i professionisti del futuro, condividendo non solo competenze tecniche ma anche una visione critica dell’architettura odierna e futura. Credo che l’insegnamento sia un atto di responsabilità: attraverso il confronto con le nuove generazioni, possiamo promuovere un approccio più etico, innovativo e rispettoso dell’ambiente e dell’uomo. La mia influenza come docente si riflette nella capacità di ispirare una nuova estetica legata alla cultura del Bello, contribuendo a ridefinire i valori dell’architettura contemporanea e a rispondere alle sfide globali.
Photo: Fabio Pitzalis
Nella sua esperienza, come si coniuga oggi la progettazione funzionale con l’identità estetica dei nuovi spazi urbani?
Nella mia esperienza ho osservato che la progettazione funzionale e l’identità estetica degli spazi urbani si integrano attraverso un approccio olistico e multidisciplinare. Oggi il designer non si limita a creare ambienti belli o funzionali in maniera isolata, ma lavora in team per sviluppare soluzioni che rispecchino l’anima della comunità, sfruttando tecnologie avanzate e materiali innovativi. Rispecchiare l’anima della comunità significa esplorare i valori, le relazioni, la cultura e le emozioni condivise che danno identità e coesione a un gruppo di persone, il lavoro dell’architetto è quello di trasformare quest’anima in spazi urbani che rafforzino il senso d’identità collettiva e di appartenenza ad un territorio.
Guardando all’interior design, quale elemento ritiene rappresenti meglio i gusti contemporanei oggi?
A mio parere la sedia si conferma come l’elemento che meglio riflette i gusti contemporanei. Oggi, le sedie non sono più solo oggetti funzionali, ma diventano vere e proprie dichiarazioni di stile e personalità. I gusti attuali privilegiano forme organiche, materiali sostenibili e tecnologie integrate, inoltre, si nota una predilezione per design minimalisti e multifunzionali, capaci di adattarsi a spazi più flessibili e alle esigenze di una vita sempre più dinamica.
Photo: Giancarlo Carrisi / quartiere Crocetta, Torino
La sedia, quindi, non è solo un elemento di comodità, ma un simbolo di come il nostro modo di vivere e di percepire lo spazio si sia evoluto, riflettendo valori dello stile contemporaneo e la personalità delle persone creando una vera e propria analogia con l’abito. La sedia e l’abito possono sembrare due oggetti molto diversi, ma se riflettiamo un po’ più in profondità, possiamo trovare delle analogie interessanti, soprattutto nel modo in cui entrambi sono strettamente legati alla pelle delle persone.
La sedia, infatti, funge da supporto per il corpo, proprio come un abito che avvolge e protegge la pelle. Entrambi sono elementi che entrano in contatto diretto con la nostra pelle: l’abito copre e decora il nostro corpo, mentre la sedia sostiene il nostro corpo mentre ci sediamo. In questo senso, la sedia può essere vista come una “seconda pelle” quando ci permette di stare comodi e di sentirci protetti, proprio come un abito che ci avvolge e riflette la nostra personalità.
Dal suo punto di vista, cosa deve garantire un infisso oggi, oltre all’efficienza energetica?
Gli infissi devono andare oltre la semplice efficienza energetica e rappresentare gli “occhi” di un edificio, ovvero uno specchio della sua personalità e del suo rapporto con l’ambiente. Oltre a garantire isolamento e risparmio energetico, un infisso oggi dovrebbe offrire funzionalità personalizzate che favoriscano il benessere, come la regolazione intelligente della luce naturale, la qualità dell’aria interna, e un design che si integri armoniosamente con l’ambiente circostante.
Photo: Fabio Pitzalis / zona Gran Madre, Torino
Inoltre, dovrebbe essere in grado di adattarsi alle esigenze mutevoli dell’utente, offrendo soluzioni tecnologiche avanzate per la privacy, la sicurezza e il comfort, diventando così un elemento che riflette l’identità e lo stile di vita di chi ci abita, come gli occhi di una persona che comunicano e raccontano chi sono e si riflettono nella sua casa.
Photo cover: Vittorio Maggiorotto