«Non progetto ambienti, ma storie. Perché ogni luogo parla, anche quando è vuoto.» Questa frase riassume la filosofia di Elisa Perrone, architetta che ha fatto dell’ascolto e dell’empatia i pilastri del suo approccio. Per lei i particolari non rispondono solo a logiche estetiche, ma diventano strumenti di benessere.
La sua architettura nasce da un ascolto attivo e dalla capacità di captare i bisogni non detti di chi vivrà quegli interni. Elisa Perrone, terminati gli studi in Architettura al Politecnico di Torino e al Politecnico di Milano, ha arricchito la sua formazione con un’esperienza alla Universidad Camilo José Cela di Madrid. L’esperienza nella capitale spagnola ha lasciato un segno profondo nel suo modo di concepire la progettazione, arricchendo la sua prospettiva con una comprensione più articolata del rapporto tra tradizione e contemporaneità.
Un approccio che trasforma ogni progetto in un dialogo dove la cura per il dettaglio si sposa con una visione più ampia: costruire non semplici ambienti, ma paesaggi emotivi. Questo bagaglio si traduce oggi in progetti dove ogni elemento viene selezionato non solo per le caratteristiche tecniche, ma per il contributo specifico al benessere quotidiano di chi abiterà gli spazi. L’esperienza professionale di Elisa Perrone testimonia questa filosofia progettuale che mette sempre al centro l’essere umano.
Studio Elisa Perrone, Torino
Cosa l’ha fatta innamorare dell’architettura e l’ha portata a scegliere questa strada come professione?
Non so esattamente quando ho capito che l’architettura sarebbe stata la mia strada, o che avrebbe avuto un ruolo così importante nella mia vita. È successo in modo naturale. Sono sempre stata una persona sensibile, attenta ai dettagli, e vedevo cose che magari gli altri non notavano. Quando entravo in un posto, non osservavo solo pareti o mobili: mi chiedevo subito chi ci vivesse, cosa provasse in quel contesto. Iniziavo a fantasticare e mi domandavo, ad esempio, com’era Versailles ai tempi del suo splendore, che atmosfera si respirasse entrando in quelle sale. Credo che per me sia stato proprio così: un innamoramento spontaneo e profondo, nato dalla curiosità, dall’empatia e da un modo diverso di osservare il mondo.
Ha vissuto esperienze all’estero, come quella a Madrid: che impatto hanno avuto sul suo modo di leggere e progettare gli spazi urbani?
L’esperienza a Madrid è stata fondamentale. Vivere all’estero ti cambia, ti apre la mente e ti obbliga a rimetterti in discussione. Madrid, in particolare, mi ha insegnato tanto sul rapporto tra le persone e l’ambiente, sia pubblico che privato. Ho respirato un modo diverso di vivere la città, fatto di piazze vissute, di ritmi più lenti, di un equilibrio tra architettura storica e contemporaneità che dialogano senza conflitti. Quell’esperienza mi ha fatto capire quanto sia importante progettare con empatia, pensando non solo alla funzione o all’estetica, ma anche alle relazioni, ai gesti quotidiani e al senso di appartenenza che un luogo può generare.
Casa Giardino Vecchio, Monferrato
Quando lavora sugli interni, cosa cerca prima di tutto?
Lavorare sugli interni è come una conversazione silenziosa tra ambiente e persona. Quando inizio un incarico, cerco sempre un equilibrio tra diversi elementi. L’emozione però è fondamentale – uno spazio deve toccare qualcosa dentro di chi lo vive – ma non può esistere senza funzione, senza una quotidianità che scorre fluida. E poi c’è il contesto: ogni interno parla con ciò che lo circonda, attraverso la luce, i materiali e la storia del posto. Quindi quello che faccio è ascoltare: ascolto il luogo, chi lo abiterà, e cerco un filo sottile che unisca tutto. Il mio obiettivo è sempre creare interni che siano veri, sinceri, che lascino spazio all’identità di chi li vivrà.
Se dovesse individuare una “icona urbana” che racconta bene il nostro tempo, italiana e spagnola, quale le verrebbe in mente?
Quando penso a spazi urbani che raccontano davvero il nostro tempo, mi vengono in mente realtà che non sono solo architettura, ma veri atti di cura. Trasformazioni che nascono spesso da un gesto coraggioso, dal desiderio di rigenerare senza cancellare.
Dettaglio del living di Casa A., Milano
A Torino esistono diversi casi simili. L’Ex INCET rappresenta forse l’esempio più significativo: un complesso industriale che ha saputo reinventarsi come polo per l’innovazione sociale, la cultura e la formazione. È uno spazio che ha saputo rinascere, aprirsi alla comunità e diventare centro di accoglienza. Volgendo lo sguardo alla Spagna, non posso non menzionare Matadero, il centro culturale di Madrid. Una realtà pulsante che ogni volta mi trasmette l’energia di un’architettura vivente, in perpetua evoluzione, dove la cultura fluisce senza ostacoli. E poi c’è Madrid Río, polmone verde restituito alla metropoli come un soffio vitale, un progetto che ha preso un vuoto urbano e lo ha saputo ricucire, trasformandolo in un punto di connessione, natura e incontro.
In un progetto di ristrutturazione o nuova costruzione, che peso attribuisce alla scelta degli infissi? E cosa devono garantire oggi, oltre all’efficienza energetica?
Gli infissi hanno un ruolo fondamentale in ogni progetto, sia di ristrutturazione che di nuova costruzione. Non sono solamente degli elementi tecnico funzionali, ma vere e proprie cornici dello spazio, che definiscono il rapporto tra interno ed esterno, influenzano la luce, la percezione visiva e il comfort.
Casa Brich, Monferrato
Oggi, oltre all’efficienza energetica, questi elementi devono garantire durabilità, isolamento acustico, sicurezza e un’estetica che si integri in modo armonioso con il concept complessivo. Devono essere sostenibili, possibilmente realizzati con materiali che rispettino l’ambiente e che favoriscano il benessere di chi abita questi luoghi. La scelta di questi componenti è sempre un momento di grande attenzione, perché è lì che si gioca una parte importante dell’esperienza quotidiana dell’abitare. Un buon infisso ti protegge, ti fa sentire a casa, e allo stesso tempo ti connette con il mondo esterno.